Pubblichiamo il primo di una serie di articoli, scritti dal dott. Maurizio Casalini, e pubblicati sulla rivista Trust & Attività Fiduciarie, in cui viene spiegato come la diversa articolazione delle clausole beneficiarie nell’atto istitutivo di trust possa impattare sul regime fiscale, opaco o trasparente, del trust e sulla variabilità dello stesso. In questo articolo e nei contributi successivi, si intende traslare la disciplina fiscale dei redditi prodotti dai beni in trust nella pratica professionale, cercando di individuare i vari scenari in cui il trustee si potrebbe trovare ad agire e come questi possano avere ripercussioni estremamente diverse nello svolgimento degli adempimenti fiscali.
Presupposto per il regime di trasparenza è che nell’atto istitutivo devono essere precisamente individuati sia i beneficiari del reddito, che potrebbero coincidere con i beneficiari finali, sia i redditi, vuoi in termini di entità che di beni da cui essi derivano, che il trustee dovrà riconoscere loro. E questo dipende da come e con che tecniche il redattore dell’atto istitutivo avrà confezionato l’atto stesso sulla base delle volontà del disponente.
La lettura dell’atto istitutivo al fine di verificare l’eventuale trasparenza o meno di un trust non è cosa banale, ma richiede il possesso di competenze, non inferiori a quelle necessarie a chi ha redatto l’atto stesso. Il fatto che le suddette clausole possano essere riportate in parti diverse e non necessariamente consecutive, rende l’interpretazione più ardua per chi non ha le necessarie competenze.
Nella pratica professionale accade che all’interno delle suddette clausole possano essere individuate varie tipologie di beneficiari con diverse posizioni che  presentano di frequente elementi di variabilità che possono far cambiare di anno in anno il regime fiscale dei redditi prodotti dal trust.

 

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